La vedova allegra - Teatro Carlo Felice web Tv

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Sabato 18 Luglio 2015 ore 20.30
inizio diretta ore 20.00
Saturday, July 28, 2015 - h 6:00 PM (in GMT)






Operetta in tre parti 
di Franz Lehár
su libretto 
di Victor Léon e Leo Stein
dalla commedia 
L'Attaché d'ambassade 
di Henri Meilhac


Direttore Felix Krieger


Orchestra Teatro Carlo Felice

Coro Teatro Carlo Felice

Maestro del Coro Pablo Assante

Cast 

Il Barone Zeta 
Fabio Maria Capitanucci 
 Valencienne 
Daniela Mazzucato  
 Il Conte Danilo 
Alessandro Safina 
 Anna Glavari 
Donata D'Annunzio Lombardi 
 Camillo de Roussillon 
Manuel Pierattelli 
 Il Visconte Cascada 
Roberto Maietta 
 Raoul di Saint-Brioche 
Dario Giorgelè 
 Bogdanovich 
Ricardo Crampton 
 Silviana 
Marta Calcaterra 
 Kromow 
Daniele Piscopo 
 Olga 
Sara Cappellini Maggiore 
Pritschitsch
Raffaele Pisani
 Praskovia 
Kamelia Kader
 Njegus 
Augusto Fornari


NOTE di REGIA.  Teatro e/è necessità.
Witold Gombrowitz, grande commediografo polacco, parlando dell’operetta in generale, ebbe a dire che “nella sua sublime idiozia, nella sua celeste sclerosi, vola sulle ali del canto, della danza, del gesto, della maschera, ed è, secondo me, teatro perfetto, perfettamente teatrale.”
Mi sono chiesto se questa “sublime idiozia”, questa follia divina, si potesse trasformare in energia “politica”, sull’onda dell’insegnamento di Bertolt Brecht che trasformò “The Beggar’s opera”, una Ballad Opera di John Gay con musiche orchestrate da J.C. Pepusch, ne’ “L’Opera da Tre soldi”, dando a quella che era nata come una parodia dell’opera italiana, una connotazione fortemente politica. Con “La Vedova Allegra” abbiamo tentato questo stesso percorso. Abbiamo esplorato la vocazione politica de’ “La Vedova allegra”, vocazione non del tutto estranea all’opera, se si pensa che il piccolo regno del Pontevedro strizza l’occhio al regno Montenegrino, e “Zeta”, il nome dell’ambasciatore del Regno del Pontevedro, è l’antico nome del Montenegro, che proprio nel 1905, anno del debutto dell’opera, ebbe la propria Costituzione.
Ça va sans dire, nulla è stato toccato in partitura. E nemmeno nella trama.
Anna Glawari, vedova di un ricchissimo banchiere, è innamorata del Conte Danilo, sua antica fiamma, ma è circondata da uomini che la corteggiano per i suoi milioni. Fra i più tenaci il Visconte Cascada e Raoul de Saint Brioche. Ci siamo semplicemente chiesti:
Cosa succederebbe se la Vedova fosse la moglie, invece che di un banchiere, di un ex ministro della Capitale che porta in dote i soldi del ministero? Cosa succederebbe se il Conte invece di chiamarsi Danilo si chiamasse Carlo Felice? E il Visconte Cascadà si chiamasse Lascalà? E Saint Brioche fosse LaFeniche?
Succede che Carlo Felice, Lascalà e La Feniche combattono per ottenere i soldi della vedova del ministro.
E succede che la svolazzante Operetta, genere leggero per sua costituzione, diventa all’improvviso un’opera “Brechtiana”, con una vitalità nuova, sferzante, graffiante, poiché tutto, all’interno, diventa allegoria e metafora di una situazione reale, assai complessa che ci riguarda da vicino. Un Regno d’Arte in difficoltà economiche, le politiche di un Paese (immaginario, certamente) che dimentica l’Arte e la Bellezza. E dentro, la storia, amori che tentano di realizzarsi, allegoria dell’Opera stessa che tenta di farsi malgrado le difficoltà. E in scena loro, i lavoratori del Conte: i tecnici, elettricisti, sarte, macchinisti, attrezzisti, maschere, musicisti, artisti del coro, professori d’orchestra, direttori di scena, che lavorano e spingono affinché Carlo Felice, romantico e inguaribile ottimista, riesca a conquistare l’amore di Anna, sì, ma anche i suoi milioni. La trama si snoda, fedele all’originale con i tradimenti, ricatti, bugie. In un clima dove tutto è grave, fatale, sul punto di esplodere e all’improvviso, la gravità si dissolve in una risata, un bacio, un canto. Verrebbe da dire, con Flaiano, che in questo regno di fantasia “la situazione è sempre grave ma mai seria”. In questo regno di fantasia.


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Matrimonio per amore o matrimonio per interesse? Il dilemma attraversa a tal punto la società umana, in ogni epoca, che tutte le forme d’arte, prima o poi, hanno sentito il bisogno di affrontarlo. In forma drammatica, come nei romanzi di Henry James, o in chiave comica, come ne La vedova allegra di Franz Lehár, la più celebre di tutte le operette. L’eterna lotta tra le ragioni del cuore e quelle del portafoglio si snoda, qui, tra un immaginario stato in bancarotta, una bella vedova in possesso di un’eredità di venti milioni di franchi, cacciatori di dote e gli immancabili equivoci, spingendo a riflettere, tra una risata e l’altra, sulle piccolezze degli uomini.
Andata in scena per la prima volta a Vienna, al Theater an der Wien il 30 dicembre 1905, La vedova allegra (su libretto di Victor Léon e Leo Stein, dalla commedia L’attaché d’ambassade di Henri Meilhac) consacrò subito l’ungherese Lehár come il vero erede degli Strauss. Spumeggiante nel ritmo, inesauribile nell’invenzione melodica, a tratti nostalgica e malinconica, La vedova allegra dimostra che la leggerezza, in musica, non è per forza sinonimo di banalità. Musicisti serissimi e impegnati, infatti, l’hanno amata e diretta, come il compositore-direttore Bruno Maderna, nome di punta della musica d’avanguardia italiana del secondo ‘900.
Il Carlo Felice presenta La vedova allegra nella produzione di Lirica Veneto, con la regia dell’argentino Hugo De Ana: uno spettacolo coloratissimo, in cui l’ironia serve a svelare la decadenza nascosta dietro lo sfarzo dei costumi e la sontuosità delle scene. Un classico riletto attraverso uno stile registico che si mantiene in equilibrio tra modernità e tradizione.    

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